Competitività e territori: quanta strada rimane da fare
La competitività dei territori si fonda sulla efficienza ed efficacia dei servizi pubblici locali: primo punto di contatto tra imprese, cittadini e utenti. Nord-Ovest in cima alla graduatoria europea per stato di salute degli individui, tallone d’Achille la sovrapposizione dei livelli di governo.
Nel corso degli ultimi anni il dibattito politico e accademico circa il rapporto tra competitività e territori ha progressivamente spostato il suo focus dal livello nazionale e sovranazionale a contesti territoriali di dimensioni più circoscritte. Mandata in archivio la lunga stagione della globalizzazione su larga scala, il baricentro è così diventato quello dell’area vasta come risultato dell’integrazione tra processi diversi, relativi non solo all’ambito economico, ma anche a quello sociale e culturale.
In questo contesto, il tema di analisi più esplorato per una valutazione delle caratteristiche dei territori è certamente quello che ha a che vedere con la competitività, intesa come la capacità di offrire un ambiente attrattivo e sostenibile per gli individui e le imprese, per vivere, lavorare, produrre reddito e ricchezza ma soprattutto benessere per le comunità locali. Un mix di elementi su cui gli operatori dei servizi pubblici locali sono percepiti come i soggetti più esposti, rappresentando il primo punto di contatto con la cittadinanza ed intercettando bisogni primari e fondamentali quali l’abitazione, l’illuminazione, il riscaldamento, la salute, la mobilità, il servizio idrico, l’igiene ed il decoro urbano.
Secondo la sua definizione tradizionale, la competitività è per sua natura un fenomeno dinamico in continua evoluzione, che riassume in sé il grado di crescita e sviluppo di un territorio nel breve e nel lungo periodo.
Tra le diverse fonti consultabili in letteratura (World Economic Forum, World Bank), appare opportuno fare specifica menzione dell’Indice di Competitività Regionale elaborato dalla Commissione Europea su base sub-nazionale. Si tratta dell’aggregazione sintetica di oltre 70 statistiche elementari raggruppate in dieci dimensioni che indagano una pluralità di elementi di scenario, dalla qualità delle istituzioni alla solidità della finanza pubblica, dalla capillarità delle infrastrutture alle condizioni fisiche e sociopsicologiche della popolazione, dalla quantità e qualità dell’educazione all’efficienza del mercato del lavoro.
La combinazione di tali componenti contribuisce a qualificare la capacità di una determinata area geografica di essere terreno fertile per il progresso sociale e lo sviluppo dell’attività economica e di adeguarsi alle sfide che lo sconvolgimento tecnologico sta ponendo a diversi livelli: essa influenza infatti il benessere e la qualità della vita percepita, il livello di sviluppo “civico”, le decisioni di investimento, l’organizzazione della produzione e le scelte, in ambito di programmazione delle politiche, sulla distribuzione dei benefici e sull’allocazione dei costi, sia economici che sociali.
La prima e più significativa evidenza che si coglie dall’esame dei dati insiste sulla profonda variabilità degli indicatori entro i confini dello stesso Paese, una caratteristica che accredita la scelta di orientare l’analisi per aree vaste anziché per Paesi.
Guardando alla graduatoria di competitività delle aree europee dello sviluppo, il Nord-Ovest mostra una posizione non certo favorevole, a suggerire la necessità di operare con una strategia di sistema per recuperare i ritardi accumulati nel corso degli ultimi venti anni. Sulle 270 unità territoriali codificate dalla nomenclatura Nuts-2, le Regioni del Nord-Ovest si collocano tra la 143esima posizione della Lombardia (pur sempre prima in Italia) ed il 177esimo posto in graduatoria della Valle d’Aosta. Nella top ten, d’altro canto, figurano i territori che beneficiano del traino esercitato dalle grandi aree urbane (Londra e Parigi in prima battuta, ma anche Stoccolma e Copenaghen), dall’incidenza del commercio internazionale (Utrecht) oppure dal peso dell’industria (la Baviera, campione tedesco della “new economy”, soprattutto nei settori dell’informatica, dell’elettronica e delle biotecnologie).
La dimensione per la quale il Nord-Ovest rivela performance più lusinghiere è quella legata allo stato di salute degli individui: l’accessibilità alla sanità pubblica, la bassa incidenza delle principali patologie e dei suicidi confermano la presenza di condizioni ambientali ottimali. Si tratta di una declinazione peculiare dello stare bene italiano che discende dal clima, dal buon cibo, dalla disponibilità di un ambiente pervaso di storia e cultura, dalla bellezza dei paesaggi naturali e che si risolve in una qualità della vita percepita da parte dei suoi cittadini particolarmente elevata. Ed è proprio in questo ambito che i servizi pubblici locali giocano un ruolo fondamentale nel valorizzare i territori: da essi dipendono abitudini e comportamenti quotidiani delle persone, in termini di vivibilità del quartiere di residenza e di accessibilità alle prestazioni fondamentali.
Insieme a quello che è un classico “evergreen” dello stile di vita associato al nostro Paese, non mancano elementi virtuosi più specifici: Lombardia e Piemonte, in particolare, possono vantare mercati locali più efficienti, grazie ad una dimensione degli scambi che favorisce l’attivazione di economie di scala, ma soprattutto beneficiano di una ampia dotazione e funzionalità delle infrastrutture. A tal proposito, giova sottolineare che l’opinione prevalente in letteratura è che la spesa per investimenti abbia un moltiplicatore superiore a quello delle altre poste di spesa del bilancio pubblico e che un’adeguata dotazione di infrastrutture fisiche sia condizione necessaria per garantire stabili prospettive di crescita: esse determinano non solo la localizzazione e la tipologia delle attività economiche insediabili, ma rappresentano fattori "abilitanti" dello sviluppo e contribuiscono ad accrescere l’integrazione tra i territori.
Rispetto alle best practice europee, le Regioni dell’area del Nord-Ovest manifestano d’altro canto una lunga serie di criticità che finiscono per determinare un “clima” non certo favorevole per fare impresa. Si interpretano in questi termini le statistiche che riguardano l’educazione (grado di scolarità e specializzazione dell’offerta formativa, oltre che l’accessibilità ai più elevati livelli di istruzione a condizioni economicamente sostenibili), per i quali tutte le Regioni italiane, non solo il Nord-Ovest, stazionano in coda alla graduatoria, ben lontani dalle esperienze più virtuose dei Paesi del Nord (Danimarca, Finlandia, Svezia), forti di un sistema di welfare tra i più moderni, avanzati ed inclusivi al mondo.
Simili considerazioni possono essere espresse in riferimento alla qualità delle istituzioni, al funzionamento dell’architettura istituzionale, legislativa ed amministrativa con la quale interagiscono cittadini ed imprese. Il quadro è per certi versi desolante, se si considera che territori come la Lombardia, il Piemonte e la Liguria sotto questo profilo occupano rispettivamente la 235esima, la 237esima e la 239esima posizione in Europa (le aree tedesche del cluster di riferimento si collocano nella top 50). Ad incidere su questa performance il grado di corruzione, la scarsa efficacia dell’azione amministrativa ed il suo livello di burocratizzazione.
Indicazioni non molto diverse provengono infine dalla capacità del sistema economico di integrarsi con le opportunità offerte dalle nuove tecnologie: il Nord-Ovest, seppure in una situazione privilegiata in confronto al resto del Paese, denota scarso dinamismo in questo ambito, per effetto di una inadeguata propensione ad assorbire un livello tecnologico in continua evoluzione. Depongono a favore di questa lettura misurazioni riferite al fenomeno del “digital divide”, ovvero al livello di tecnologia disponibile nelle imprese ed agli investimenti per trasferire l’innovazione all’interno delle organizzazioni.