Rifiuti urbani: le opportunità vengono dall’economia circolare
Le direttive comunitarie indicano la strategia da seguire nella gestione dei rifiuti urbani: non più scarto ma “nuovo prodotto” da valorizzare. Il Nord-Ovest deve cogliere le opportunità dell’economia circolare: prevenzione, riutilizzo e soprattutto impianti per il riciclaggio e il compostaggio.
Negli ultimi decenni le istituzioni europee sono state impegnate a disegnare una strategia comune in materia di rifiuti, orientata a ridurre l’impatto della loro produzione sulla salute umana e sull’ambiente e più di recente anche a promuovere una crescita economica più sostenibile. Un cambio di paradigma, dove al concetto di rifiuto come scarto si sostituisce quello di “nuovo prodotto” destinato ad alimentare le filiere del riciclo e del recupero di materia.
A sostanziare questa strategia i principi comunitari del “full cost recovery” e “pay as you throw”, che stabiliscono che la tariffa deve coprire i costi del servizio e deve avere natura corrispettiva, cioè trasmettere segnali di prezzo che interiorizzano anche i costi ambientali, incentivando gli utenti a comportamenti virtuosi volti a ridurre la produzione di rifiuto. Più di recente il legislatore comunitario ha rinforzato la cosiddetta “responsabilità estesa del produttore”, stabilendo che il produttore di un bene è responsabile di tutti i costi comprese le attività post consumo di ritiro, riciclo e smaltimento finale.
La direzione di marcia per gli anni a venire è ancora una volta indicata dalle direttive comunitarie attualmente in discussione (il c.d. “Pacchetto economia circolare”) che prevedono che entro il 2030 almeno il 65% dei rifiuti urbani sia preparato per essere riutilizzato o riciclato. A questo si aggiunge la previsione di una percentuale massima del 10% di rifiuti urbani che potranno essere smaltiti in discarica e il divieto di conferimento in discarica dei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata.
Nel Nord-Ovest nell’ultimo anno sono state prodotte 7,6 milioni di tonnellate di rifiuti. Il Nord-Ovest non è ancora riuscito a disaccoppiare il binomio tra consumi e produzione di rifiuto: l’andamento della spesa per beni non durevoli indica che la minor produzione di rifiuto trova una giustificazione soprattutto nell’evoluzione del ciclo dei consumi, piuttosto che nell’attuazione di politiche di prevenzione e contenimento dei rifiuti.
In termini pro capite, la produzione di rifiuti nel Nord-Ovest si è attestata a 473 kg/abitante/anno, ben al di sotto dei 625 kg/abitante/anno della Germania e dei 523 kg/abitante/anno dei Paesi Bassi, ma superiore a quella di Belgio e Spagna. All’interno delle Regioni del Nord-Ovest si assiste tuttavia ad un’ampia variabilità di esiti, riflesso di differenti logiche di assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani: la Valle d’Aosta è l’area a maggiore produzione di rifiuti urbani pro capite con 569 kg/abitante/anno, mentre il Piemonte e la Lombardia si presentano come i territori con la minor produzione, rispettivamente 466 kg/abitante/anno e 462 kg/abitante/anno.
L’ultimo rapporto Legambiente sui “Comuni ricicloni”, comunità con le percentuali più elevate di raccolta differenziata e una bassa produzione di rifiuto indifferenziato residuo, annovera solo 103 Comuni nel Nord-Ovest.
A fronte di una produzione in riduzione, la raccolta differenziata ha raggiunto in media nel Nord-Ovest una incidenza del 55%, una crescita negli anni recenti (nel 2010 era il 46%) che tuttavia ancora non raggiunge gli obiettivi previsti dalla normativa nazionale (il 65% entro il 2012). A soffrire sono in particolare i grandi centri metropolitani, che pure sono eccellenze in ambito internazionale: Milano con il suo 52% di raccolta differenziata supera di gran lunga realtà come Berlino (42%), Londra (34%), Madrid (17%) e Parigi (13%).
L’indicatore di percentuale di raccolta differenziata, limitandosi a fotografare gli esiti della sola raccolta, non dice nulla circa la qualità dei materiali, da cui dipende la fattibilità tecnica e la sostenibilità economica della loro valorizzazione.
Anche nel Nord-Ovest la situazione è ancora ben lontana dal sostanziare la “circolarità del ciclo del rifiuto”,
ovvero dalla completa possibilità di riutilizzare, recuperare o riciclare i rifiuti prodotti.
In termini di riciclo, compostaggio e recupero di energia l’Italia si colloca su valori allineati alla media dei Paesi europei, con il 29% dei rifiuti riciclati nella produzione di materie prime seconde e il 20% destinato alla produzione di compost. Tuttavia i risultati non sono soddisfacenti, soprattutto con riferimento al riciclaggio, se raffrontati alle migliori esperienze europee, come ad esempio la Germania, dove la percentuale di rifiuti urbani avviati al riciclaggio ha raggiunto il 49%, grazie anche all’introduzione di meccanismi economici di incentivazione della differenziazione a favore dei cittadini e al divieto di smaltire in discarica i rifiuti urbani.
Considerando la destinazione finale dei rifiuti urbani, il ricorso alla discarica, la soluzione di ultima istanza secondo la strategia europea, rappresenta ancora una modalità prevalente di smaltimento.
Quasi il 26% dei rifiuti urbani raccolti in Italia è avviato a smaltimento in discarica, una percentuale inferiore solo a quella della Spagna. Nelle migliori esperienze europee, come Germania, Paesi Bassi e Belgio, già da diversi anni il ricorso alla discarica è prossimo allo zero.
L’elevato ricorso alla discarica è sintomatico della presenza di un deficit nel trattamento e nella valorizzazione dei rifiuti: un’insufficiente dotazione impiantistica e un mancato sviluppo delle filiere del recupero e del riciclaggio. Una situazione figlia delle carenze nella programmazione regionale e anche di una diversa capacità dei territori di “fare sistema” e di abbandonare le piccole gestioni locali per abbracciare un moderno approccio industriale.
Nel Nord-Ovest il ricorso alla discarica è pari al 12%, in linea con la media europea. Un valore che sintetizza una situazione regionale molto diversificata, con la Lombardia che si dimostra la Regione più virtuosa, con un ricorso alla discarica pari al 5%, mentre la Valle d’Aosta è in coda alla graduatoria (56%). Bisogna sottolineare inoltre come il basso ricorso alla discarica della Liguria, pari al 12%, sia conseguito grazie all’export di rifiuti verso Regioni limitrofe, a testimonianza di un deficit impiantistico nella capacità di trattamento e compostaggio.
Il Nord-Ovest presenta una dotazione impiantistica complessivamente adeguata. Con riferimento alla capacità degli impianti per il recupero di energia, che permettono di assicurare il trattamento del rifiuto indifferenziato minimizzando il ricorso alla discarica, il consistente surplus registrato dalla Lombardia (20 impianti) può essere reso disponibile alle Regioni che non hanno inceneritori (Liguria, Valle d’Aosta), mentre il Piemonte (2 impianti) è autosufficiente. Per quanto riguarda gli impianti di compostaggio, il cui fabbisogno cresce con la diffusione della raccolta differenziata della frazione organica, le Regioni del Nord-Ovest si distinguono tra territori autosufficienti, come Lombardia, Piemonte e Valle d’Aosta, e territori ove è necessario investire nella realizzazione di più di un impianto di compostaggio, segnatamente in Liguria.
In un’ottica di raggiungimento delle economie di scala e di razionalizzazione del numero di operatori la normativa vigente prevede che l’affidamento del servizio di igiene urbana sia effettuato dall’Ente di Governo d’Ambito. Nel processo di riassetto della governance locale del servizio, il Nord-Ovest è stato suddiviso in 6 ATO: 2 di dimensione regionale (Liguria e Valle d’Aosta), 2 sovra-provinciali e 2 provinciali (in Piemonte). Pur avendo suddiviso il territorio in ATO di dimensioni regionali o provinciali, la Regione Liguria e Piemonte hanno attuato una ulteriore suddivisione in bacini di affidamento di dimensione sub-provinciale.
In Lombardia, infine, la scelta in materia di organizzazione del servizio è rimasta in capo ai Comuni.
A fronte di questa situazione, l’espletamento di gare a livello d’ambito per l’affidamento del servizio non ha trovato attuazione nel Nord-Ovest. In compenso, secondo una ricognizione Utilitatis, sono state bandite 113 gare tra gennaio 2014 e agosto 2015, principalmente in Lombardia (98), aventi ad oggetto, nella maggior parte dei casi il solo servizio di raccolta di rifiuti urbani: il perimetro degli affidamenti è inferiore ai 30 Comuni, in media, e ha una durata media di 4 anni. La frammentazione dei bacini di affidamento, assai di sovente su base comunale, ha ostacolato lo sviluppo di un modello industriale di gestione integrata del ciclo dei rifiuti: l’industria dei rifiuti del Nord-Ovest conta oggi oltre 200 operatori, in prevalenza impegnati nella sola fase di raccolta del rifiuto.
Le aziende partecipate del Nord-Ovest del settore dei rifiuti urbani realizzano un fatturato di oltre 900 milioni, occupando circa 5.700 addetti. Il valore economico generato è distribuito per il 52% alle imprese che forniscono beni e servizi, per il 32% al personale alle dipendenze, per il 4% alla pubblica amministrazione e un 1,4% ai finanziatori, mentre un 11% è trattenuto dalle aziende per la remunerazione del capitale proprio e sotto forma di ammortamenti, riserve e accantonamenti. I dati sugli investimenti, a disposizione per un campione di aziende che servono circa 1/3 della popolazione residente, restituiscono un impegno di risorse per 81,6 milioni di euro, corrispondenti a 20 euro pro capite, e in calo negli anni più recenti. Utilitalia stima in 5 miliardi di euro il fabbisogno di investimenti per lo sviluppo della raccolta differenziata e dell’impiantistica necessaria al recupero e alla valorizzazione dei rifiuti.
L’analisi delle performance economico-finanziarie mostra una buona redditività delle aziende di maggiori dimensioni (patrimonio netto superiore al milione di euro), accreditate di un margine operativo lordo tra il 12% e il 14%, e una buona solidità finanziaria.
Le performance si invertono nelle aziende di dimensioni minori (patrimonio netto inferiore al milione), dove la redditività si ferma al 9% e la salute finanziaria è precaria a causa di uno squilibrio tra capitale proprio e di terzi.
Accanto alle dimensioni gli indicatori di redditività e solidità finanziaria sono influenzati dalla fase della filiera in cui le aziende operano. Come rilevato anche da analisi di settore di Cassa depositi e prestiti e Utilitatis, i gestori proprietari di impianti di trattamento dei rifiuti, fase a più elevata intensità di capitale della filiera, presentano una maggiore redditività, come contropartita della maggior incidenza degli ammortamenti, e un valore della produzione per addetto più elevato, rispetto agli operatori della raccolta e del trasporto dei rifiuti urbani.
Nel confronto europeo, le prime 10 aziende del Nord-Ovest mostrano una taglia coerente, se non addirittura maggiore, rispetto a quella delle imprese europee. È da sottolineare tuttavia come nei Paesi europei considerati operino società territoriali presenti a livello sovranazionale (quali Suez, Veolia e Indaver, operanti tra Francia, Paesi Bassi, Belgio e Germania).
Inoltre, come si è già avuto modo di dire, l’organizzazione del settore incide sulle prestazioni delle aziende, tanto che aziende che operano lungo l’intero ciclo integrato e imprese che gestiscono singole fasi della filiera (raccolta e trasporto, impianti di compostaggio, termovalorizzazione o riciclaggio, discariche) presentano tra loro caratteristiche tecnologiche, dimensionali e di redditività molto differenti.
In questi termini, è importante ricordare che Paesi Bassi, Germania e Belgio, presentano una struttura significativamente diversa del settore rispetto all’Italia, incentrata sul recupero di materia ed energia.