Struttura produttiva del Nord-Ovest: il “terziario” del Paese
Il Nord-Ovest è la parte più avanzata dell’economia italiana. L’area è stata attraversata da una trasformazione della struttura produttiva, da una perdita di posizioni dell’industria e dal riorientamento verso le attività di servizi.
L’area del Nord-Ovest rappresenta la parte più avanzata dell’economia italiana. In termini di Pil pro capite si posiziona su valori di circa il 35% superiore alla media delle altre Regioni italiane. I divari territoriali interni nel Nord-Ovest sono significativi, ma in ogni caso tutte le Regioni dell’area si posizionano largamente al di sopra della media nazionale.
I livelli medi del Pil pro capite del Nord-Ovest sono in linea con quelli delle aree a maggiore sviluppo del continente europeo, ad eccezione delle Regioni delle grandi capitali (Londra, Parigi) dove i redditi medi riflettono la concentrazione territoriale di cittadini a reddito più elevato. Il risultato del Nord-Ovest è tanto più significativo se si considera che in Italia la dirigenza pubblica è concentrata su Roma.
Nel corso dell’ultimo ventennio il Nord-Ovest ha visto cadere progressivamente l’incidenza dell’industria sul valore aggiunto. Alla fine degli anni novanta l’industria aveva un peso del 28%, una quota sensibilmente superiore al 22% attuale. Anche nel resto d’Italia nello stesso periodo si è verificata una contrazione, ma di meno di 4 punti, dal 21 al 17% circa.
Il peso dell’industria sull’economia del Nord-Ovest è inferiore a quello delle Regioni del Nord-Est. Anche la propensione all’export del Nord-Ovest non raggiunge quella delle Regioni nordorientali, che svolgono quindi un ruolo fondamentale in termini di capacità di penetrazione sui mercati internazionali. Parte dell’arretramento dell’industria del Nord-Ovest è derivato nel corso degli anni Duemila dall’andamento negativo del settore automobilistico, che mantiene comunque tuttora un peso significativo in Piemonte.
La deindustrializzazione del Nord-Ovest è stata caratterizzata da un ridimensionamento delle aziende di dimensioni più grandi. La trasformazione del tessuto produttivo ha avuto conseguenze negative sui processi innovativi e sull’andamento della produttività.
Analogamente al resto del Paese, la prevalenza del modello della piccola impresa è certamente uno dei fattori di freno alla crescita dell’industria. Nonostante rispetto alle altre aree dell’economia italiana la dimensione media delle aziende del Nord-Ovest sia maggiore, il modello di sviluppo resta largamente incentrato su un tessuto di aziende di dimensione insufficiente per affrontare le sfide della concorrenza internazionale. Tale limite si rivela particolarmente penalizzante soprattutto rispetto ai processi di internazionalizzazione produttiva e agli investimenti nelle tecnologie più avanzate, che richiedono una significativa accumulazione di capitale umano.
Le analisi sulla struttura produttiva del Nord-Ovest suggeriscono difatti come il processo di deindustrializzazione dell’area non abbia sollecitato una reazione delle imprese in termini di mutamento della specializzazione, a differenza di altre aree europee che hanno cercato di seguire una strategia di costante upgrade tecnologico, spostandosi verso i segmenti più avanzati della produzione. La risposta alla crisi è stata prevalentemente di tipo difensivo, di fatto riducendosi al ridimensionamento delle aziende. In altri casi le imprese hanno seguito una strategia di delocalizzazione, dettata principalmente da obiettivi di contenimento dei costi di produzione. La strada dell’innalzamento qualitativo della produzione è stata seguita da alcuni gruppi di aziende, ma prevalentemente di dimensione piccola o media.
Nel corso degli ultimi venti anni il gap di crescita della produttività totale accumulato nei confronti degli altri Paesi europei, misurato dalla crescita del costo del lavoro per unità di prodotto, ha determinato una perdita di competitività rispetto alle altre aree avanzate europee.
Dal 2007 ad oggi nel Nord-Ovest il costo del lavoro dell’industria è aumentato del 25%, passando da 41mila a 51mila euro lordi per una unità di lavoro a tempo pieno. A fronte di tale dinamica, la produttività del lavoro è aumentata soltanto del 2% nello stesso periodo. La crescita del Clup cumulata è stata quindi pari al 22%, un incremento non distante da quello delle altre ripartizioni, ma decisamente superiore a quanto osservato nello stesso periodo presso i nostri maggiori competitor europei: si pensi al caso della Germania, dove il Clup nello stesso periodo è aumentato del 16% e, soprattutto, a quello della Spagna, che ha realizzato un rilevante miglioramento della propria posizione competitiva, registrando un aumento del Clup industriale appena dell’1,5% nello stesso periodo.
Alla maggiore caduta della quota dell’industria sul valore aggiunto che ha caratterizzato l’area del Nord-Ovest è corrisposta una crescita del peso dei servizi più accentuata rispetto alle altre aree del Paese. Un esito in parte dell’arretramento della base produttiva industriale e in parte conseguenza del fatto che una serie di attività in passato svolte all’interno dello stesso settore manifatturiero viene adesso effettuata da imprese dei servizi (servizi amministrativi e di consulenza, attività legate all’informatica, servizi finanziari, di trasporto, imprese di pulizia, etc).
Nell’ambito dei servizi una componente di fondamentale rilievo è quella relativa ai servizi ad offerta pubblica: il loro contributo in termini di valore aggiunto risulta particolarmente accentuato in tutta l’area del Nord-Ovest, con una incidenza compresa tra l’11% della Lombardia ed il 20% della Valle d’Aosta.
Il Nord-Ovest ha concentrato la propria crescita nell’ambito dei servizi alle imprese, registrando un aumento della quota sul Pil di ben sette punti mentre nel resto del Paese l’incremento è stato di 5,5 punti. Nel 2015 i servizi alle imprese avevano un peso sul Pil del Nord-Ovest del 32%, a fronte di una quota prossima al 28% nel resto d’Italia.
La crescita dei servizi alle imprese è stata particolarmente pronunciata nel caso della Lombardia, dove l’incidenza di questi settori sul Pil supera il 33%; mentre nelle altre tre Regioni si arriva al 29%, un valore solo di un punto superiore al dato medio nazionale.
I servizi alle famiglie presentano invece un’incidenza sull’economia del Nord-Ovest in linea con il resto del Paese, mentre decisamente inferiore è il peso dei servizi pubblici, che pesano molto sulla struttura produttiva delle Regioni meridionali, dove il manifatturiero e i relativi servizi sono poco sviluppati.
I servizi alle imprese hanno giocato un ruolo decisivo nell’attenuare l’intensità della crisi delle Regioni del Nord-Ovest, avendo registrato una variazione di segno positivo fra il 2007 e il 2015 (+1,4%) a fronte della contrazione che ha caratterizzato il resto delle Regioni italiane (-3,2%). D’altra parte, il risultato positivo dei servizi alle imprese non è distribuito in maniera omogenea all’interno dell’area: difatti, la crescita è concentrata in Lombardia (+6,5%) a fronte di una significativa contrazione nelle altre tre Regioni (-8,7%). La forte divaricazione nelle performance regionali suggerisce la possibilità che si sia verificata una concentrazione di attività di servizi alle imprese, soprattutto nell’area milanese.
Lo sviluppo di alcune attività nel capoluogo lombardo, ad esempio relative alla fieristica o ai settori legati al turismo, ha ricevuto un impulso anche dall’Expo del 2015, che ha favorito il miglioramento della dotazione infrastrutturale della città di Milano.
La concentrazione nell’area milanese di una serie di attività di servizio definisce un posizionamento peculiare nei confronti del resto del Paese. Milano è soprattutto diventata il centro di fornitura di servizi di eccellenza – dalle università, alle società di consulenza, ai servizi finanziari – senza d’altra parte riuscire però a sviluppare in questi campi posizioni di leadership internazionale in misura sufficiente per farne un centro di fornitura di servizi al resto del mondo.
Uno dei limiti dell’economia del Nord-Ovest è rappresentato dai livelli d’istruzione.
Sebbene vi siano localizzate istituzioni universitarie di livello riconosciuto, la concentrazione di capitale umano che si osserva nelle Regioni più avanzate d’Europa è ben maggiore. Anche i livelli d’istruzione del management sono mediamente inferiori a quelli degli altri Paesi. La minore accumulazione di capitale umano si ricollega anch’essa alla dimensione d’impresa. È probabile che parte di questi limiti sia legata anche alla recessione che ha colpito l’economia italiana. Il crollo della nostra domanda interna è stato decisamente superiore a quello osservato in altri Paesi, e questo ha portato le imprese a mantenere strategie prudenti, sia dal punto di vista dell’accumulazione di capitale fisico che umano. L’eredità della crisi degli anni scorsi ha quindi lasciato le proprie tracce anche sulle aree più avanzate del Paese, determinando un gap in termini di produttività rispetto ai maggiori partner europei che non potrà essere colmato in tempi brevi.
In conclusione, il Nord-Ovest è certamente l’area più forte dell’economia italiana, ma le conseguenze della crisi pesano anche in quest’area e l’aggancio alle aree più forti d’Europa richiederà nei prossimi anni sforzi importanti da parte delle imprese e delle istituzioni.